lunedì 9 ottobre 2006

Confini

Ultimamente ho letto più libri del solito.
Calma, non sono come Sgarbi che già vent'anni fa aveva letto non so quante migliaia di libri e Beniamino Placido, facendo due conti su Repubblica, l'aveva sbugiardato.
Semplicemente ne ho letti. Punto. E ho colmato una grave lacuna: ho letto solo autori italiani. Li avevo trascurati senza un motivo preciso. Siamo sempre alle solite: non si può leggere, scrivere, ascoltare musica, andare al cinema. Se fai una cosa non fai più l'altra. E bisogna fare delle scelte, che sono anche dettate da eventi esterni.
Sarà un caso, ma i romanzi che mi hanno colpito maggiormente raccontano storie di confine e di gente che lo deve passare: chi per tornare e chi per restare dall'altra parte.
Cesare, il protagonista de "Il mangiatore di Pietre" di Davide Longo, lo passa e lo ripassa, il confine, perché è un passeur che aiuta i clandestini ad andare in Francia, attraverso i monti del Piemonte del west. Come Varì, il protagonista di "Vento largo" di Francesco Biamonti li aiuta a raggiungere la terra francese attraverso quella terrazzata della Liguria.
Gregorio, il fuggiasco di "Quattro giorni per non morire", di Marino Magliani ha passato svariati confini e tenta di passarlo ancora una volta, in autostrada, per andare a Nizza a prendere un aereo.
Cesare e Varì si servivano delle gambe, Gregorio di un'auto, Beniamino Rossini, il contrabbandiere protagonista di "La terra della mia anima", di Massimo Carlotto, passa il confine a piedi per andare in Svizzera, poi servendosi di motoscafi veloci, per passare quello con la vecchia Jugoslavia. Lui, come Cesare e Varì, va e viene.
Il confine mi ha sempre affascinato.
Adesso a Ventimiglia ci sono rimaste le postazioni dei finanzieri vuote. Arrivi, rallenti e continui verso Mentone.
Prima ti fermavano per i controlli di rito: guardavi davanti a te e a poche centinaia di metri c'era un altro Paese. Altra gente, altra lingua, altre storie. E ce l'avevi lì, a pochi metri. Era come immergersi in un'altra realtà. Poi, al ritorno, ritrovavi la tua. Ma sapevi che potevi cambiarla quando volevi: bastava passare di là.
Mi sono sempre domandato come si vive in una città di confine. I ragazzi di qua faranno conoscenza con quelli di là? Immaginavo storie d'amore tra una francese e un italiano. La sera uno dei due attraversava Ponte San Ludovico per stare insieme. Uno dei due passava il confine.
Eppure non vivo in una città di confine, non so ancora se ho voglia di attraversarlo definitivamente e rimango a immaginare come potrebbe essere, una volta passato.

8 commenti:

STELLA ha detto...

Mi hai fatto venire in mente quando, da piccola, andavo con i miei genitori e parenti vari in gita, al confine con la svizzera, io però dovevo restare al di qua, perchè non avevo il documento, e i grandi andavano al di là del confine a comprare le sigarette e il cioccolato. Forse è da allora che io ho iniziato a detestare i confini, perchè non potevo mai andare al di là e scegliere io la cioccolata....

Anonimo ha detto...

Sono capitato qui per caso, tramite un link sul blog di Laura (popoblog), sono un narratore esordiente che ha trattato a suo modo una storia di confini (un ragazzo sedicenne che abita in un quartiere di periferia romano che sta insieme a una coetanea della roma bene). Anche i quartieri sono confini che attraversi, non ce ne accorgiamo ma anche lì il paesaggio cambia. E succedono cose diverse, tanto diverse. Scusa l'intrusione e la pubblicità opportunistica.

saluti
Adriano

Associazione ImperiaParla! ha detto...

Meglio così Stella, pensa quanta cioccolata ti saresti fatta fuori ;-)
Benvenuto, Adriano. Qui l'entrata è libera (anche ai fumatori). Prima o poi leggerò il tuo libro.

Anonimo ha detto...

La tematica di una storia d'amore tra un ventemigliuso e una mentonnaise sarebbe davvero interessante da narrare. Peccato solo che casi simili non me ne siano capitati tra le mani, per racconti di vita vissuta, e tieni conto che abito da anni a Ventimiglia. Mi è capitata invece una bellissima storia tra una giovane insegnante di Cava De' Tirreni (che insegna a Ventimiglia, vi si è trasferita apposta) e un coetaneo di Antibes (che lavora nel campo del design dei giardini). I due si conoscevano per via di una rete di interscambio vacanze Campania/Francia, e alla fine si sono sposati da poco, vivono ad Antibes: e tutti i giorni lei prende il treno per Ventimiglia, per insegnare alla scuola media.
Capita di vedere qualche garcuneta mentonese tra i bar di Ventimiglia, ma poi scopri che è parente di qualcuno della città. Tieni conto che frequento Menton per via della spesa, degli acquisti di giornali o medicine. E mi sembra che il loro mondo sia fortemente distaccato dal nostro: loro vivono di Star Academy, della lotta elettorale Segolene Royal contro Sarkozy (pensa, sono già stati pubblicati nelle librerie francesi oltre 10 libri di saggistica varia su questo tema!), dell'ennesimo ritorno on stage di Johnny Hallyday. Mi sembra un mondo fortemente diverso dal nostro: l'unico elemento della presenza dei francesi, quando sono a casa, lo verifico alla Standa la domenica sera quando trovo il banco dell'insalata stravuoto, e pure quello della carta igienica. Alle casse, tre quarti dei clienti sono tutti di Menton e dintorni. Ci sarebbe, questo sì, da scrivere e raccontare sul variegato mondo degli stranieri che transitano per Ventimiglia, sui mentonesi che fanno la spesa, discutono in francese con la cassiera e poi tra loro confabulano in un dialetto che non è proprio quello di Brunick o di Brixen (località altoatesine di lingua tedesca).

Associazione ImperiaParla! ha detto...

Ciao Achille, sono certo che tu sapresti tirarcelo fuori un romanzo ;-)

Anonimo ha detto...

Come diceva il notaio dell'Ottavo Nano..."è possible".

MonstruM ha detto...

Non c'entra granchè, ma hai per caso letto "La Nube Purpurea"?

Associazione ImperiaParla! ha detto...

No Monstrum, ma vedo dai giudizi su IBS che non deve essere male.
Che ti dicevo, Achille ;-)