Il mandarino è marcio
Questo post avrei dovuto scriverlo ieri, o l'altro ieri dal momento che sulle ricorrenze ormai si scrive quasi sempre prima.
Lo scrivo oggi perché tutto quello che ho letto in questi giorni mi ha fatto venire la voglia di farlo.
Solo che cercherò di immedesimarmi in quel periodo, perché con il passare del tempo, certi miei punti di vista sono cambiati.
Allora lo dico subito: a quel tempo ero uno di quelli che non stavano né con lo Stato né con le BR. Non ero un autonomo, non distribuivo volantini e mi facevo gli affari miei. Avevo poco più di vent'anni: la DC mi stava sulle palle e le BR con quella sanguinosa azione, mi avevano preso in contropiede. Preferivo cose alla Sossi, lasciato poi su una panchina a Milano con il biglietto del treno in tasca, per dire.
Inutile fare gli ipocriti: quello era un problema che non mi riguardava. Era un problema, grosso, dello Stato, dei partiti.
Diciamolo francamente: è come se oggi qualcuno rapisse un pezzo grosso del PD o del PDL. Non me ne fregherebbe niente.
E non mi si venga a dire che Moro era quello che avrebbe portato il PCI al governo e che forse le cose sarebbero cambiate perché non me la bevo: se Berlinguer fosse andato al governo con la DC e gli altri partiti, significa che le braghe le avrebbe calate lui e non gli altri.
Con il passare dei giorni (e in quel periodo cominciò a uscire nelle edicole sotto forma di settimanale OP, l'Osservatore Politico di Mino Pecorelli) mi rendevo conto che era tutta una presa per il culo, che il gioco non era così semplice e chissà cosa c'era sotto (e dietro).
Credo di essere diventato dietrologo in quel periodo lì: con le farse del Lago della Duchessa e il covo di Via Gradoli, le sedute spiritiche con Prodi ecc.ecc.
Solo in seguito venni a sapere che lo Stato e i suoi apparati erano pregni di piduisti. Che del commando che assaltò l'auto su cui viaggiava Moro, il superkiller sparò 49 nove colpi (su un totale di 91) senza fare neppure un graffio a Moro (o, se sì, lieve). Non si era mai vista una cosa simile da parte delle BR e qualcosa cominciava a non quadrarmi. In via Fani c'erano troppi misteri e troppa gente.
Eleonora Moro poi dirà che appena giunta sul posto, il Capo della Polizia le rivelò che erano state le Brigate Rosse, con gran stupore della signora.
Già perché nelle vie familiari a Moro nei mesi prima del sequestro succede di tutto: gli manomettono l'auto dieci volte e gli entrano nel giardino di via Savoia. Franco Di Bella (diventato rapidamente direttore del Corriere, dopo fitti incontri con Licio Gelli), che va a trovarlo, è seguito da alcune moto e un centauro, fermandosi, estrae una pistola dal borsello. Il Capo della Polizia dirà che si tratta di comuni scippatori, ma la mattina del 16 marzo è sicuro che il sequestro sia opera dei brigatisti.
Cose dette e ridette. Le lettere di Moro: c'era chi diceva che erano false, chi sosteneva che le aveva scritte da drogato. Le due borse mai ritrovate, un rullino sparito, il famoso memoriale che quando venne reso pubblico mi venne subito da pensare a una presa in giro nella presa in giro.
Ci si aspettava chissà quale rivelazione e a leggerlo oggi non so dire se fa ridere o piangere per la pochezza e la banalità dei contenuti. Probabilmente il vero memoriale, il vero interrogatorio, non sapremo mai com'è andato.
Perché prima bisognerebbe stabilire chi ha rapito e poi ucciso Moro.
La mattina in cui fu trovata la Renault 4 rossa con il cadavere ci rimasi male. Mi aspettavo un finale di storia diversa. Ma Moro libero sarebbe stato un problema per tutti, a quel punto, anche se pure il Vaticano stava trattando il suo rilascio.
Oggi, come allora, il mio pensiero va agli uomini della scorta e alle loro famiglie, e a quella di Moro, ovviamente.
Ripeto: all'epoca non stavo né di qua né di là, ma Moro libero avrebbe fatto saltare il baraccone, che invece ha un po' traballato, ma poi è rimasto ben saldo in piedi.
fonti: "Il mandarino è marcio" (l'anagramma di un messaggio delle BR "Il cane morirà domani") di Scanno e De Luca (Editori Riuniti) che stranamente non compare nella bibliografia consigliata su Atlante di Repubblica dedicato allo statista.
"I veleni di OP" di Francesco Pecorelli e Roberto Sommella (Kaos edizioni).