Anna e Alberto Grifi
Solo oggi ho il tempo di scriverne, e come al solito a illuminarmi è Diderot, perché da Il Manifesto mi era letteralmente sfuggito.
Da lui copio e incollo quanto segue:
"Alberto Grifi, nato a Roma nel 1938, è unanimemente considerato da critici e studiosi uno dei primi e tra i più importanti autori di cinema sperimentale in Italia. Con alcuni suoi film – La verifica incerta (1964), Anna (1972-75) – ha scritto delle pagine fondamentali del nostro cinema, conosciute ed apprezzate anche all'estero. Le sue condizioni di vita però sono tragicamente peggiorate negli ultimi anni. (...) Aggiungi la tua firma a questo appello affinché il Comune di Roma si attivi tempestivamente per trovare una soluzione. E a Alberto venga concessa la Legge Bacchelli. Invia una e-mail a: info@barbaranocinelab.it. "
Nel 75 avevo vent'anni e per la verità di Alberto Grifi ne sapevo poco.
Del film "Anna" lessi nel gennaio 1976, sul numero 1 del terzo anno di vita del mensile "Gong" che sono andato a tirare fuori dal baule quando ho letto il post di Diderot e di seguito riporto quanto scritto in quell'articolo di Enzo Ungari.
E' un post lungo, ma spero che a qualcuno faccia piacere leggerlo.
“Ne hanno parlato tutti. Raramente un film ha suscitato tanta eco nei mezzi di comunicazione di massa e trattandosi di un film realizzato al di fuori dell'industria, non destinato almemo per ora alle sale pubbliche, la scena è abbastanza nuova da giustificare alcune riflessioni e questa testimonianza.
Cominciamo dall'inizio. Un regista di film sperimentali, Alberto Grifi, ex principe dell'underground italiano, vittima della repressione durante il periodo più cupo della caccia ai fumatori di hashish, viene chiamato un giorno da un attore, Massimo Sarchielli, compagno di strada e di piazza anche lui, a cavallo fra Italia e Stati Uniti, stanco di fare il cinema e il teatro tradizionali. Sarchielli ha conosciuto a Piazza Navona Anna, sedicenne drogata e incinta, fuggita da cento riformatori, sopravissuta a quindici tentativi di suicidio, oscillante continuamente tra depressione e catatonia. La ospita, si prende cura di lei, comincia a interessarsi a lei. Sarchielli decide di fare un film, a partire da un brogliaccio di appunti. Grifi accetta di collaborare, come tecnico e come poeta. Dopo qualche tempo abbandonano la cinepresa e un certo numero di idee precostituite. Cominciano a registrare col videoregistratore, a catturare anche le occasioni, i momenti imprevisti, ad allontanarsi dalla traccia che si erano prefissi di seguire.
Anna partorisce. Vincenzo, che dava una mano alla realizzazione, si è innamorato di lei e vuole occuparsi del bambino. Anche lui è entrato a far parte del film, ne è diventato un personaggio. Mano a mano che questo colossale psicodramma di cui tutti sono attori e autori al tempo stesso, va avanti, il rapporto fra Massimo e Alberto si fa più difficile, complicato, contraddittorio. In breve si allontanano uno dall’altro.
Anna se ne va: abbandona tutto, compreso il figlio e Vincenzo. L’ultimo nastro è proprio questo: Vincenzo solo che giudica Anna e il suo rifiuto che è diventato rifiuto della vita, della responsabilità e, in ultima analisi, della libertà. Ma anche Anna (il film) rischia di restare senza padre e senza madre. Per la frattura che si è creata tra loro, Massimo e Alberto si sono allontanati dal materiale: 11 ore di nastri.
Poi arriva un’occasione: Ulrich Gregor, che organizza una manifestazione all’interno del festival di Berlino, viene messo dal gruppo di Filmstudio, in grado di visionare il materiale e preso dall’entusiasmo offre il denaro sufficiente per trasferire su pellicola 16 millimetri almeno una parte. Anna diventa un film di 3 ore e 45 minuti, qualcosa fra la sintesi e l’antologia di quel flusso di avvenimenti più vasto che è contenuto nei nastri.
Arriva Venezia. Gli amici di Anna sono diventati tanti e la presentazione del film è sapientemente orchestrata. La stampa ne è entusiasta, compresi quei critici che giudicano Jodorowsky il massimo dell’avanguardia consentita. Gli equivoci attorno al film si addensano sempre di più. Anna viene esaltato, ma per ragioni sbagliate. Sarchielli, a ragione, si sente messo da parte. Grifi, che lo voglia o no, diventa per chi sta a Venezia l’autore del film. Il trionfo veneziano di Anna aumenta le difficoltà tra i due.
Filmstudio si offre di proiettare il film in una nuova sala, lo Studio 2, che è nata proprio per dare spazio a quel cinema che è solitamente emarginato.
Il film esce ed è visto da diverse persone per 4 settimane consecutive, a sala piena. I giornali di Roma gli dedicano lo spazio che di solito si riserva al Padrino o a Lo Squalo. Paese Sera parla di Griffith, Ejzenstejn, Rossellini e Godard. Cosulich scrive: «Si dice spesso, al sopraggiungere di un film memoriale, che esso ha la stessa importanza avuta a suo tempo da "La corazzata Potemkin", o dal "Calidari", o da "La nascita di una Nazione", o da "Roma città aperta" o da "Fino all’ultimo respiro". Di fronte a Anna questi paragoni non tengono. Si potrebbe, al più, confrontarlo con L’arrivo del treno alla Ciotat dei fratelli Lumiérè, cioè con l’atto di nascita del cinema.»
Alla fine il film è stato tolto, per un timore eccessivo di un possibile problema legale, ma anche per la frattura ormai profonda fra Grifi e Sarchielli.
Al di là del suo risultato poetico, se Anna è diventato un caso così importante sulla scena morta del cinema italiano è per la profonda trasformazione che essa fa subire al concetto di film e per la forza con cui fa accettare a un pubblico relativamente largo, in ogni caso non di specialisti, questa trasformazione.”
11 commenti:
Grazie a te Charlie, le tue visite mi fanno sempre piacere.
Oltre a insegnarlo dovrebbero fare di più per tutti e soprattutto per gli artisti meno conosciuti.
Dagli Stati Uniti prendiamo tutto, ma scuole di recitazione, e "officine" per giovani registi no.
Si sa che cosa sia successo ad Anna dopo il film?
Ciao Anonimo, ci crederesti che me lo sono chiesto pure io?
Sarebbe molto interessante saperlo.
ci crederesti che me lo sono chiesto pure io?
Ce lo siamo chiesti in molti. Il Mereghetti, laconicamente: "finì in manicomio", che non suona imprevisto. Ma dopo?
Probabilmente è meglio non saperlo.
non so mi lascia perplessa...non voglio fare la perbenista benpensante ma mi viene da chiedermi dov'è il limite tra la finzione e la realtà. Anna diventa uno strumento nelle mani dei registi, ad esempio la scena della doccia: lei non vuole farla dice di vergognarsi ma la quasi costringono a farla lo stesso. Ecco in questo è uno strumento.Lei non sta recitando una parte, questa è la sua vita....purtroppo.
Non sapevo veramente chi tu fossi o cosa tu avessi fatto di grande nella vita, per me eri un appassionatissimo che trovavo sempre in studio, in quell'estate che l'ho frequentato. Piccole chiacchere quotidiane rimaste nel cuore, come la tua energia buonissima. Ci sarai sempre. Ciao Alberto.
Francesco Fiore
ciao Alb, fra poco fanno 3 anni che ci hai salutati. grande maestro e fratello di tutti i giovani filmaker...
sappiate che questi rari film vanno visti per riuscire a comprendere il genio...poi forse se ne può parlare.
Che cognome aveva Ada?
Posta un commento